TOM RUSSELL –
BORDERLAND
Il
confine tra Stati Uniti e Messico è uno dei luoghi geografici più raccontati
nell'ambito della cultura musicale americana ed il suo attraversamento,
nell'uno o nell'altro senso, da sempre è metafora di catarsi e di libertà, di
fuga dalla giustizia che ti insegue o dall'ingiustizia della vita, dalla fame
che ti perseguita o dall'inutile ricerca di una fama che non ne vuole sapere di
arrivare.
Per
questo motivo sarebbe un errore considerare il confine raccontato da Tom
Russell in Borderland soltanto una
banale, per quanto articolata, linea disegnata su una carta geografica. E'
anche questo, ovviamente, ma c'è dell'altro: se il fiume - The River - di Bruce Springsteen era metafora dello
scorrere della vita, il confine di Tom Russell è metafora delle mille
invisibili barriere contro le quali
andiamo quotidianamente a sbattere il muso, dei mille passaggi che un
uomo è costretto ad attraversare o con i quali, comunque, deve inevitabilmente
fare i conti e, infine, delle differenze tra uomo e donna.
“Now
I'm thinking about my baby and the borderline 'tween a woman and a man” canta
infatti Tom nell'iniziale Touch Of Evil, una ballata nella quale le chitarre
acustiche di Andrew Hardin e di Gurf Morlix (che è anche produttore del disco)
vengono impreziosite dall'accordion dell'immenso Joel Guzman e dalle trombe mariachi di Oliver
Steck. Il confine che separa un uomo da una donna, dunque. Nessun filo spinato
a graffiarci, nessun alto muro da scavalcare, nessun fiume da attraversare,
verrebbe da dire. Ed invece ci si graffia, si fatica, si annega ugualmente:
“Oh, someone rolled the credits on, twenty years of love turned dark and raw. Not a technicolor love film, it's a
brutal document, its film noir”.
Le
molteplici letture a cui si presta il concetto di confine, come dicevo,
rappresentano il reale filo conduttore
del disco, così in Down The Rio Grande, una dolente ballata scritta a quattro
mani insieme a Dave Alvin, il confine fisico, quel Rio Grande che per buona
parte segna la frontiera tra i due Stati, rappresenta la porta attraverso cui
una Lei abbandona un Lui (“She always said she'd go someday, she never said how
far. Down The Rio Grande...”), mentre in “Where The Dream Begins”, altra
ballata acustica, è semplicemente il momento nel quale le delusioni della vita
hanno preso il posto dei sogni fatti da bambino (“What happened to the kid in
the baseball cap? He's trying to get home but I think he's lost
the map).
Ed
ancora, mentre in The Hills of Old
Juarez, solida ballata elettrica che racconta la storia di un corriere di
cocaina, il confine che si intende
raccontare è quello, spesso sottile, tra il bene ed il male, in When Sinatra
Played Juarez viene posto l'accento sul malinconico ricordo dei tempi migliori
di Juarez, con il concerto di Sinatra a fare da spartiacque tra quell'età
dell'oro ed un grigio presente: “Those were truly golden years my Uncle Tommy
said, but everything’s gone straight to Hell since Sinatra played Juarez”.
Se
questi sono i brani più rappresentativi di una visione metaforica del confine,
tutto il lavoro ne è comunque pregno. E' un mondo in chiaroscuro quello
raccontato da Russell, una terra nella quale un treno può essere considerato un
malinconico rumore, come in The Santa Fe At Midnight, oppure il mezzo per fuggire da qualcosa (The
Next Thing Smokin', bellissimo titolo), una terra di mezzo nella quale il sole
può scottare e la neve uccidere (la bellissima California Snow, altro brano scritto
insieme all'amico Dave Alvin).
Sul
versante musicale Borderland è un disco eccezionalmente ispirato, composto da
ballate nelle quali le chitarre di
Hardin, di Morlix e dello stesso Russell si intrecciano a formare un morbido
tappeto su cui l'accordion di Guzman si posa struggente, da spoken songs che
inaspettatamente sfociano, come nel caso di What Work Is, in potenti esplosioni
e da ariosi brani elettrici puntellati dall'hammond di Ian McLagan, come in Let
It Go e nella conclusiva The Road It Gives, The Road It Takes Away.
Un
disco, in definitiva, assolutamente fondamentale per chiunque voglia capire il
cosiddetto movimento Americana e per il quale, almeno per quanto mi riguarda,
non è fuori luogo parlare di capolavoro.
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