venerdì 3 agosto 2012


TOM RUSSELL – BORDERLAND


Il confine tra Stati Uniti e Messico è uno dei luoghi geografici più raccontati nell'ambito della cultura musicale americana ed il suo attraversamento, nell'uno o nell'altro senso, da sempre è metafora di catarsi e di libertà, di fuga dalla giustizia che ti insegue o dall'ingiustizia della vita, dalla fame che ti perseguita o dall'inutile ricerca di una fama che non ne vuole sapere di arrivare.
Per questo motivo sarebbe un errore considerare il confine raccontato da Tom Russell in Borderland  soltanto una banale, per quanto articolata, linea disegnata su una carta geografica. E' anche questo, ovviamente, ma c'è dell'altro: se il fiume - The River -  di Bruce Springsteen era metafora dello scorrere della vita, il confine di Tom Russell è metafora delle mille invisibili barriere contro le quali  andiamo quotidianamente a sbattere il muso, dei mille passaggi che un uomo è costretto ad attraversare o con i quali, comunque, deve inevitabilmente fare i conti e, infine, delle differenze tra uomo e donna.
“Now I'm thinking about my baby and the borderline 'tween a woman and a man” canta infatti Tom nell'iniziale Touch Of Evil, una ballata nella quale le chitarre acustiche di Andrew Hardin e di Gurf Morlix (che è anche produttore del disco) vengono impreziosite dall'accordion dell'immenso  Joel Guzman e dalle trombe mariachi di Oliver Steck. Il confine che separa un uomo da una donna, dunque. Nessun filo spinato a graffiarci, nessun alto muro da scavalcare, nessun fiume da attraversare, verrebbe da dire. Ed invece ci si graffia, si fatica, si annega ugualmente: “Oh, someone rolled the credits on, twenty years of love turned dark and raw. Not a technicolor love film, it's a brutal document, its film noir”.
Le molteplici letture a cui si presta il concetto di confine, come dicevo, rappresentano  il reale filo conduttore del disco, così in Down The Rio Grande, una dolente ballata scritta a quattro mani insieme a Dave Alvin, il confine fisico, quel Rio Grande che per buona parte segna la frontiera tra i due Stati, rappresenta la porta attraverso cui una Lei abbandona un Lui (“She always said she'd go someday, she never said how far. Down The Rio Grande...”), mentre in “Where The Dream Begins”, altra ballata acustica, è semplicemente il momento nel quale le delusioni della vita hanno preso il posto dei sogni fatti da bambino (“What happened to the kid in the baseball cap?  He's trying to get home but I think he's lost the map).
Ed ancora,  mentre in The Hills of Old Juarez, solida ballata elettrica che racconta la storia di un corriere di cocaina,  il confine che si intende raccontare è quello, spesso sottile, tra il bene ed il male, in When Sinatra Played Juarez viene posto l'accento sul malinconico ricordo dei tempi migliori di Juarez, con il concerto di Sinatra a fare da spartiacque tra quell'età dell'oro ed un grigio presente: “Those were truly golden years my Uncle Tommy said, but everything’s gone straight to Hell since Sinatra played Juarez”.
Se questi sono i brani più rappresentativi di una visione metaforica del confine, tutto il lavoro ne è comunque pregno. E' un mondo in chiaroscuro quello raccontato da Russell, una terra nella quale un treno può essere considerato un malinconico rumore, come in The Santa Fe At Midnight,  oppure il mezzo per fuggire da qualcosa (The Next Thing Smokin', bellissimo titolo), una terra di mezzo nella quale il sole può scottare e la neve uccidere (la bellissima California Snow, altro brano scritto insieme all'amico Dave Alvin).
Sul versante musicale Borderland è un disco eccezionalmente ispirato, composto da ballate nelle  quali le chitarre di Hardin, di Morlix e dello stesso Russell si intrecciano a formare un morbido tappeto su cui l'accordion di Guzman si posa struggente, da spoken songs che inaspettatamente sfociano, come nel caso di What Work Is, in potenti esplosioni e da ariosi brani elettrici puntellati dall'hammond di Ian McLagan, come in Let It Go e nella conclusiva The Road It Gives, The Road It Takes Away.
Un disco, in definitiva, assolutamente fondamentale per chiunque voglia capire il cosiddetto movimento Americana e per il quale, almeno per quanto mi riguarda, non è fuori luogo parlare di capolavoro. 

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